Energia in azienda
13 Ottobre 2020Il segreto del nostro successo è l’immaginazione
28 Aprile 2021Spesso assisto a grossi fraintendimenti su questo tema. In molte aziende si pensa che l’innovazione sia “semplicemente” il risultato del lavoro di chi sviluppa e progetta i nuovi prodotti da lanciare sul mercato.
Quando l’azienda è di grandi dimensioni, questo accade con maggior facilità, perché le divisioni tra le diverse funzioni si acuiscono e le specializzazioni aumentano.
In altre realtà l’innovazione è quasi interamente “relegata” o delegata dal basso al vertice aziendale, ovvero l’imprenditore, la proprietà o l’amministratore delegato. Questo può avvenire sia in aziende piccole, sia in aziende molto grandi.
In altre aziende, non ci si pone nemmeno il problema, sperando che ciò che ha portato successo e “fortuna” nel passato possa continuare a portarlo nel futuro senza interruzioni, indipendentemente da chi sia stato il fortunato autore dell’idea di successo.
In questo categoria, purtroppo, rientrano una fetta rilevante di aziende sul mercato. La convinzione più singolare si manifesta poi quando si crede di far innovazione ed in realtà ciò che si lancia come nuovo sul mercato è solo una derivazione di quanto già fatto nel passato.
È il cliente il giudice ultimo dell’innovazione
Dal mio punto di vista fare innovazione, innovazione ad alto impatto, significa aumentare in modo significativo fatturato e margini aziendali, grazie all’introduzione nel mercato di nuovi prodotti e servizi.
Richard Branson, lo storico fondatore di Virgin, afferma che fai innovazione solo quando migliori la vita delle persone con il tuo prodotto o servizio. Chi può giudicare quindi se un prodotto è realmente innovativo? Solo le persone che ne fruiscono, solo chi usa il nuovo prodotto o il servizio, traendone maggior vantaggio e valore rispetto ad altre esperienze d’uso.
Pensate alla rapida espansione di UBER, azienda fondata nel 2009 per offrire un’esperienza di mobilità urbana alternativa ai servizi di taxi tradizionali, oggi valutata per un valore globale di circa 40 miliardi di dollari. Chi ha giudicato la bontà e le potenzialità del servizio UBER?
Gli specialisti del settore che affermavano che il servizio non avrebbe colto la decima parte del successo avuto? Oppure gli specialisti delle infrastrutture tecnologiche che giudicavano molto “povera” la APP su cui si basa il servizio UBER e cambiata pochissimo rispetto alle sue origini?
L’hanno giudicata i clienti che hanno usato il servizio e gli autisti, che grazie ad un modello alternativo di business possono arrotondare i loro stipendi senza essere tassisti di professione. Una buona idea di partenza, un buon modello commerciale, un processo di delivery ben studiato, la capacità di sfruttare bene la piattaforma tecnologica ed il mondo digitale: ecco servito un piatto a molti zero nell’economia mondiale attuale.
E questo accade sempre più spesso, in un mondo dove conta più che la capacità di padroneggiare la tecnologia esistente, quella di saperla sfruttare bene e soprattutto metterla al servizio delle persone.
Chi può e chi deve fare innovazione in azienda?
Non sono più le tradizionali élite di persone, nominate tramite un organigramma aziendale, ma gruppi di persone sempre più estese che quando meno te lo aspetti forniscono un modo nuovo di risolvere un problema vecchio.
Da quelli che Roberto Verganti, autore di Design Driven Innovation, chiama interpreti dei diversi significati e valori attribuibili a nuovi prodotti e servizi, a quelli che Gary Pisano, autorevole professore dell’Harward Business School, chiama Open Collaborative Innovators, in un modello decisamente affascinante di innovazione, dove la capacità di sfruttare le molteplici competenze ed idee intorno a noi, prevale sulle singole capacità possedute da individui ed aziende.
Fornitori, partner, collaboratori, colleghi, ricercatori, stagisti, tirocinanti, esperti di settori limitrofi o alternativi ai nostri, sono solo alcuni dei possibili nuovi interpreti di nuovi bisogni da poter soddisfare.
Il problema diventa, quindi, come organizzarsi per trarre il massimo vantaggio dalle diverse fonti intorno a noi. Se ci si apre a questa idea e si accetta di far evolvere il paradigma organizzativo con cui l’innovazione viene gestita, c’è solo l’imbarazzo della scelta con cui avviare percorsi di “Innovation Scouting”.
5 esempi per generare innovazione in azienda
- Workshop interni facilitati da un esperto esterno o interno;
- Campagne interne ed esterne a caccia di spunti, in cui si chiedono risposte a domande guidate su alcuni temi specifici;
- Creazione di team di lavoro ibridi, dove si inseriscono figure esterne ed interne complementari in termini di esperienza e competenze;
- Costituzione di gruppi di “technology scouting” in cui si mappano le opportunità ed i trend tecnologici sfruttabili per nuovi prodotti e servizi;
- Selezione di un piccolo gruppo di lavoro che va a lavorare in un ambiente completamente diverso per un periodo di tempo limitato;
A volte mi è capitato di assistere a una riluttanza iniziale di fronte a questo allargamento di fronte, come se facesse paura l’incremento di idee e opportunità che ne potrebbe derivare.
Io sono spaventato dall’esatto opposto, avere poche idee, e soprattutto avere le stesse idee che avevo nel passato.
Mi piace l’idea di poter scegliere e selezionare tra tante, piuttosto che averne poche.
Quindi siate sempre curiosi, osservate, fate domande, cercate di riconoscere i diversi punti di vista, cercate di capire cosa prova e cosa pensa gente diversa da voi, appuntatevi spunti, idee, magari su un piccolo taccuino o sulle note del vostro smartphone.
Rimarrete sorpresi della quantità di spunti che raccoglierete!